Elena Lanza

responsabile di sala e del servizio pasticceria e dei tè

Quando e dove hai conosciuto Matteo?

In un bar, all’ombra delle mura trecentesche della magnifica Soave. Credo fosse il giorno di Pasquetta. Lui spiegava di essere appena ritornato dall’India, poi passava a discutere di Alain Ducasse: io ero tutt’orecchi, i discorsi mi interessavano e – come spesso accade di riflesso – mi interessava anche la persona. Così mi sono intrufolata. Così, all’ora dell’aperitivo, senza alcun preavviso la vita è cambiata. Ho trovato un alleato, un compagno di avventure. Mio marito. Il mio migliore amico.

Quali sono stati i punti chiave della tua formazione?

Ho studiato al liceo linguistico e in seguito mi sono laureata in Giurisprudenza. Un percorso lineare che dava soddisfazione a me e anche ai miei genitori. Eppure… a volte sono le cose clandestine ad affascinarci: a me piaceva lavorare nel ristorante, ed ancor più il farlo all’insaputa dei miei. In un’atmosfera – del tutto innocua – di cospirazione. Era un gioco, e al contempo una passione. E quando questi due elementi si intrecciano, dànno luogo a un esito fatale (ride)! Insomma, la mia formazione si è svolta in parallelo, su un doppio binario: da un lato le aule universitarie, dall’altro la sala colma di tavoli. Oltreché, ovvio, il laboratorio di pasticceria.

E le svolte della tua vita professionale?

Ricordo episodi singoli, emozioni legate agli attimi iniziali di un’esperienza nuova. L’emozione della prima cena al Plaza Athénée di Alain Ducasse, a Londra. Lì ho capito davvero cosa significa gestire una sala nel segno dell’eccellenza: i camerieri non sembravano neanche veri, eterei com’erano… volteggiavano, anzi volavano! Per l’arte pasticciera invece, la svolta coincide con i corsi dell’École Ducasse. Anche qui ricordo una precisa emozione nel vedere lo chef pasticciere come sospeso su una nuvola (per inciso, proseguo anche ora a frequentare i corsi parigini, senza più la testa tra le nuvole…). La terza svolta riguarda ancora Parigi: mi onoro infatti di frequentare la maison di madame Yu Hui Tseng, unica donna fra i dieci maestri della cerimonia del tè oggi presenti al mondo. Il tè è un autentico percorso iniziatico.

E poi c’è la tavola degli altri.

Per me si tratta della tavola e della sala, dato che ovunque vada vorrei imparare qualcosa di inerente a ciò che mi riguarda. Focalizzando l’attenzione sulla tavola inizierei da Anne-Sophie Pic, visitata molte volte, sempre lasciandomi stupire come non sapessi nulla. Incredibile l’esperienza all’Asador Extebarri di Victor Arguinzoniz: vai lì per il pesce, le carni – naturalmente, sublimi -, e ti imbatti in un piatto di semplici piselli, senza alcun abbinamento o condimento, cucinati alla griglia e affumicati come solo lui sa fare. La tavola degli altri non presuppone necessariamente un locale pubblico. Mi viene in mente quando siamo andati da Jean-Claude Fugier, a Lione. Ci ha preparato le sue crêpes suzette nell’atmosfera intima di casa sua. Lui, celebrato maestro, a compiere quei gesti impeccabili solo per noi due, in tuta sportiva…

Come si svolge la tua giornata-tipo, al lavoro?

Al mattino mi dedico completamente al Garibaldi, dalla prima colazione al pranzo. Il pomeriggio è dedicato alla pasticceria, con lo studio e la creazione della linea dessert, che varia sempre a seconda del periodo dell’anno. A sera, il servizio per la cena al Ristorante al primo piano. Molto di ciò con cui ho a che fare, attiene alla forma: studiare e gestire la sala, attivare il miglior servizio. In questa ricerca della forma, sono aiutata dall’aver studiato – e compreso a fondo – senso e scopo dei rituali orientali inerenti il tè. Di quest’ultimo, Matteo ed io ci siamo proprio innamorati, tanto da aver dato vita a un’offerta di tè quasi esoterica – mi si passi il termine -, davvero per appassionati e conoscitori.

Come definiresti la tua pasticceria?

I miei dolci sono leggeri, di stagione, incentrati su un ingrediente protagonista che cerco di valorizzare, con poco o senza zucchero. Mi ispiro alle varie sfumature del vocabolo stesso: ‘dolce’ è qualcosa che ha a che vedere la gentilezza. Così vorrei fosse ciò che creo. A me, a noi, interessa soprattutto offrire la miglior qualità possibile. Posso realizzare una semplicissima ricetta di cioccolato e caramello – senza nient’altro -, ma con il miglior cioccolato e il miglior caramello possibili sarà comunque una delizia. Tornando ai dolci, voglio sottolineare che per me è importante far concludere all’ospite l’esperienza gustativa in armonia con quanto proposto in precedenza, quindi riconfermando la leggerezza tipica dei piatti di Matteo.

Quali sono i tuoi ingredienti preferiti? I piatti? I vini?

Le mie preferenze cambiano in base alle stagioni, al clima, persino in base al mio umore del momento. Esistono piatti, vini più invernali o più estivi – questo non lo scopro certo io -, ma anche più ottimisti oppure velati di malinconia. Una cosa posso dire: per me l’olfatto è determinante, parrà strano ma se fossi costretta a scegliere tra assaggiare un piatto, un vino, oppure solo odorarlo, mi sentirei appagata nel coglierne semplicemente il profumo – che ritengo essere la sua vera essenza.

Come definiresti, oggi, il vostro ristorante? E come vorresti che fosse?

Oggi lo trovo chic, ma accogliente. L’eleganza, lo stile, sono fondamentali, certo. Vanno però coniugati con il senso dell’ospitalità, con un desiderio genuino di incontrare gli ospiti e di farli sentire a proprio agio. Inoltre lo definirei un locale green, dato che alla naturalità dei cibi e dei vini va ad aggiungersi la scelta di utilizzare dove possibile materiali biodegradabili. Come vorrei che fosse? Mi accontenterei che cambiasse insieme a noi, via via che avanziamo nel nostro percorso. Oggi siamo più maturi, più sicuri in ciò che facciamo, e il locale rispecchia a sua volta questa nostra nuova dimensione.

Ogni tanto, riposerai…

Per me riposare significa mangiare in altri modi, in altri mondi. Con Matteo scegliamo le località di vacanza in base ai piatti, alle cucine che desideriamo conoscere. I numerosi viaggi in Francia sono un’altra occasione di relax, a eccezione del ritorno abbastanza scomodo (ride), dato che riempiamo all’inverosimile il furgone con tutte le specialità, le delizie, le rarità che siamo riusciti a trovare e vogliamo far scoprire ai nostri clienti. All’estero acquistiamo poi un gran numero di libri di cucina, sulla pasticceria, il pane, il vino. Viaggiare ci dà modo di ampliare le nostre conoscenze e la nostra biblioteca.