Matteo Grandi

cuoco

Matteo, quando e dove hai conosciuto Elena?

All’ora dell’aperitivo nel bar di un amico. Stavo conversando con lui – senz’altro parlavamo di cibo -, quand’ecco una giovane donna inserirsi piacevolmente nel dialogo. Mi hanno subito colpito i suoi occhi svegli, il suo interesse per l’argomento, e – poco alla volta, parlando – la sua positività. Il modo gentile ma diretto di porsi. Di lei, quel giorno, avevo già intuito due cose: la dolcezza di fondo, e la… testa dura (ride)! Ed eccoci qui. Lei a parlare di me. Io a parlare di lei. Entrambi a illustrare il “progetto Garibaldi” che in questi difficili anni ci ha visti impegnati (è proprio il caso di dirlo) qui a Vicenza, in una tra le piazze più belle del mondo.

Quali sono stati i punti chiave della tua formazione?

Più che di punti parlerei di persone, dato che a fare la differenza è sempre la qualità dei rapporti, dello scambio umano. Ho iniziato molto presto a scoprire il mondo fantastico – proprio nel senso di ‘fiaba’ – della cucina. È stata mia nonna a condurmici per mano, passo passo, tra profumi, consistenze, colori che poi non ho più potuto – voluto! – abbandonare. Certo, in seguito un’altra persona per me decisiva è stata Jean-Claude Fugier, a lungo braccio destro di Alain Ducasse e anche di Paul Bocuse: con lui ho conseguito, professionalmente, la maggiore età, sono diventato consapevole di quale precisa forma la mia espressione culinaria avrebbe assunto.

E le svolte della tua vita professionale?

Ne citerei tre. La vittoria dell’edizione 2014 del reality cooking ‘Hell’s Kitchen Italia’, che mi ha dato una visibilità altrimenti difficile da ottenere. Il lavoro di tanti anni condotto a fianco di un maestro come Jean-Claude Fugier, in Asia, che mi ha offerto la possibilità di apprendere un metodo e di capire cos’è la cucina asiatica e quella francese, oltre a chiarirmi il concetto di eccellenza. La terza svolta è stata accendere le luci dei nostri locali, Elena e io, mettendo ogni giorno in scena le nostre idee. Che non riguardano solo la cucina: ci piace curare personalmente lo studio di ogni dettaglio, dai tavoli in marmo ai piatti e ai bicchieri – affidando poi la realizzazione a professionisti-artisti di talento e di fiducia.

E poi c’è la tavola degli altri.

Certo. Per Elena e me, mangiare e bere è un hobby oltre che qualcosa riguardante la professione. Noi ci divertiamo proprio, ci rilassiamo nell’andare assieme dove cibi e vini ci chiamano. Adoro lo stile di Anne-Sophie Pic, il suo utilizzo degli agrumi, la sua eleganza e leggerezza in cucina. Mi riguarda strettamente, da vicino, il tocco orientale che Takao Takano sa dare ai piatti classici francesi. Imperdibile, poi, una cena da Victor Arguinzoniz – Asador Extebarri -, per l’essenzialità di ciò che propone, la capacità unica nel gestire legni e braci, modulare temperature, lui maestro del fuoco.

Come si svolge la tua giornata-tipo, al lavoro?

Contatto i fornitori che giungono da fuori. Controllo la materia prima in arrivo. Visito i fornitori di prossimità. Poi, lavoro in cucina. Spetta a me trasformare in una serie di piatti ciò che entra nel ristorante: ma prima, e prima di tutto, mi spetta verificare ciò che entra. Sarebbe altrimenti inutile mettersi a cucinare qualcosa di non perfettamente idoneo a ciò che ho in mente, in termini di qualità.

Come definiresti la tua cucina?

Istintiva. Tutto ciò che è inerente al creare, si confronta secondo me con l’intuito. Altrimenti basterebbe copiare semplicemente – pari pari – le ricette già esistenti. Ho un approccio complesso, anche trovandomi all’incrocio tra cucine differenti – asiatica, francese -, ma alla fine devo ‘sentire’ il piatto, farlo mio. Non amo affatto l’esibizionismo, anzi. Ad ogni modo l’ispirazione asiatica mi piace molto. Un’altra cifra che amo è la leggerezza, a ogni livello. Se leggero è il tono con cui creo le mie ricette, leggero in egual modo ha da essere il piatto in sé.

Quali sono i tuoi ingredienti preferiti? I piatti? I vini?

Diciamo che lo stato d’animo del giorno influisce molto sulle preferenze, quindi anche sui piatti che decido di mettere a punto. Elena infatti lamenta il fatto di dover spesso ristampare i menù in corsa perché ho deciso di fare variazioni in base a ciò che mi sentivo… Comunque mi interessa ogni ingrediente. Ho una predilezione per i prodotti freschi, di giornata e di stagione. I vini stessi debbono, per me, essere naturali: questa ricerca ha dato nel tempo risultati sorprendenti, con Elena siamo riusciti a scoprire produttori locali di livello altissimo.

Come definiresti, oggi, il vostro ristorante? E come vorresti che fosse?

Oggi è in transito. L’evoluzione, il cambiamento, per me sono tutto. Non amo affatto stare fermo, e poi desidero che l’ospite trovi ogni volta qualcosa di nuovo. Almeno è ciò che mi aspetterei io, visitando un locale. Mi piace trasmettere il senso di una ricerca, di qualcosa che si muove. Come vorrei che fosse? Un parco giochi enogastronomico! Prima parlavo di ricerca: ma questa non deve per forza essere seriosa, è anzi l’aspetto ludico la parte migliore di un cuoco. Elena ed io ci riteniamo molto fortunati, perché il nostro lavoro implica necessariamente il fatto di divertirsi.

Ogni tanto, riposerai…

Non vedo questa netta soluzione di continuità. Quando ami ciò che fai, il bisogno di riposare è relativo. Non stacchiamo davvero nemmeno quando siamo in vacanza. Ci piace scoprire pietanze che non conosciamo, parlare con gli chef. A me in particolare piace tantissimo vedere i mercati, l’ortofrutta, i prodotti locali. Nel mondo, ogni mercato è diverso – i colori, le voci degli ambulanti -, questo mi affascina da sempre. Se invece ti riferisci ad altro, a passioni coltivate nel tempo libero, ecco, leggo libri – di cucina! – e mi rilassa molto accudire, coccolare i miei cani.

NOTA BIOGRAFICA DI MATTEO GRANDI